Nota dell’editore
Ognuna di queste “occasioni di racconto” sembra avere una vita propria: sono aforismi ragionati.
Sarebbe paradossale che qui li si volesse spiegare. Ci si potrebbe quindi limitare a sottolineare l’understatement, il distacco intellettuale, l’attitudine scettica, e altre caratteristiche di stile e di umore che in tanto sono apprezzabili in quanto non sembrano comportare da parte del lettore una particolare sintonia, una preparazione ovvero l’appartenenza a un qualche piccolo gruppo.
Basta la curiosità per appassionarsi alle indagini di questo detective attirato dal negativo, lasciandosi sorprendere dagli accostamenti e dalla capacità di trattare temi “alti” (dalla critica della scienza e degli pseudoesperimenti scientifici, all’analisi del linguaggio) con tono e linguaggio leggeri, e temi “minimi”, addirittura subliminali (per esempio la prossemica condominiale, la fenomenologia dello scompartimento ferroviario, odorizzatori e deodoranti, ecc.) scomodando tecniche analitiche sofisticate: etologia umana e semiologia del corpo, col contrappunto di cinema e meccanica quantistica.
Estratto dal libro
Nella Quaestio de aqua et terra, Dante Alighieri da Firenze, autoproclamandosi “l’ultimo dei veri filosofi” e sostenendo che non può esistere a questo mondo una superficie marina situata a un livello superiore di una terra emersa, decretava praticamente l’impossibilità di esistere per paesi interi come l’attuale Olanda. L’arte di affermare perentoriamente cose che non stanno in piedi, d’altronde, né si inaugurava né veniva meno con il cosiddetto “padre della lingua italiana”.
Qualche secolo dopo, un altro che amava dichiararsi l’ultimo e già che c’era anche il primo dei “veri filosofi”, George Berkeley, a un dato momento della sua vita cominciò a dispensare all’intero suo prossimo dell’acqua di catrame, ritenendo che in essa ci fosse il segreto potere di combattere qualsiasi malattia. Non più di una sessantina d’anni fa, per buttar lì un altro esempio, come ricorda Ageno nelle sue Radici della biologia, c’era un tale – Paneroni Giovanni da Rudiano – che girava l’Italia e distribuiva volantini nel temerario tentativo di convincere gli ottusi astronomi che, primo, la Terra era piatta, secondo, che era assolutamente ferma negli spazi siderali.
Paneroni, tuttavia, stava dalla parte perdente dell’andazzo culturale, perché oggi la Terra è sia sferica che in movimento. In un saggio, su Prometeo, Forecaster cita documenti sconvolgenti sul problema del volo. Per esempio quel che ha scritto un certo Newcomb: “la dimostrazione che nessuna combinazione di sostanze note, nessun macchinario, nessuna forma di forza possano essere riuniti in un veicolo è basata su fatti fisici rigorosamente provati ed inoppugnabili”. Ma questo Newcomb non era affatto un Paneroni di turno in versione americana, era fior di astronomo cui si devono revisioni importanti della teoria del Sole, della Luna e del movimento dei pianeti (lo cita Einstein, a proposito del “movimento inspiegato del perielio dell’orbita di Mercurio”, nella terza appendice dell’esposizione divulgativa della teoria della relatività e anche in una lettera a Michele Besso del 10 dicembre 1915) e una scemenza del genere non l’ha mica detta e scritta in un’epoca in cui era anche legittimo dirla o scriverla, ma l’ha detta e scritta nel 1903 – esattamente l’anno in cui un biplano di 338 chili con Orville Wright a bordo volava per 266 metri su una spiaggia della Carolina del Sud. Come un Paneroni di turno sembrerebbe non essere stato William Pickering, uno che qualche anno più tardi – quando ormai l’aereo era bello e assodato – scrisse che “l’immaginazione popolare ha spesso visioni profetiche di macchine volanti che si librano attraverso l’Atlantico, trasportando molte centinaia di passeggeri come le moderne navi a vapore. Mi sembra saggio affermare che idee del genere sono pure e semplici allucinazioni”, e tutto ciò lo scrisse nonostante fosse il valente astronomo, collaboratore del MIT e dell’osservatorio di Harvard, cui dobbiamo – che Dio l’abbia in Gloria – la scoperta del nono satellite di Saturno.
Ora, l’avrete notato, gli esempi precedenti – che potrebbero essere numerosi quanto le stelle nel cielo – hanno un carattere in comune: si tratta in ogni caso di sciocchezze dette da gente che avrebbe potuto facilmente farne a meno e dette tutte in riferimento a fatti fisici: il mare e la terra, l’acqua di catrame, la forma e il moto del pianeta, il volo di un aeroplano. Il mio motivo di riflessione è, allora, il seguente: se sul fisico – qualcosa, cioè, cui riconosciamo un carattere pubblico – riusciamo a dire tante sciocchezze, quanto affidamento possiamo concedere alle asserzioni concernenti il mentale che, per definizione, pubblico non è? Che sorte toccherà alle tante asserzioni – pagate dai più a caro prezzo – di psicologi, psichiatri, psicoanalisti, linguisti, semiologi, semantologi, e scienziati tutti dediti al cognitivo?